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Le perle del Duecento

Il mese scorso ho avuto il privilegio di assistere ad una conferenza divulgativa organizzata dall’associazione Sodalitas Latina Mediolanensis dal titolo SA.De.M.BE (Salus de Medioevalibus Beniis), dove sono stati letti dei passi tratti dai celeberrimi poemetti allegorici firmati niente di meno che Bonvesin Della Riva e Giacomino da Verona. Il primo autore costituisce un esempio campanilistico di orgoglio milanese intarsiato ad arte retorica e sviluppato secondo i canoni caratteristici della koinè lombarda, in frammenti di raffinatezza stilistica e di lirismo che portano il lettore ad un passo dalla “Ianua Celeste”. Il secondo poeta, invece, frate francescano, fu autore di due piccoli poemi didascalici in quartine monorime dal sapore brioso e vagheggiante in un contesto di contrizione religiosa.

Nondimeno, ciò che accomuna entrambi i poeti è l’epoca in cui oprarono: il Duecento italiano. Di Bonvesin è stato letto integralmente il Libro delle Tre Scritture, che si colloca in quella serie di testi che precedono la stesura della Comedìa dell’Allighieri. Tale libro è tripartito, ed ogni parte rappresenta un mondo ultraterreno. La genialità e l’indole artistico-letteraria del poeta sta anche nel fatto di aver utilizzato tre differenti colorature d’inchiostro per scrivere questi tre libri, che circolarono separatamente: il nero spetta al primo libro (De scriptura Nigra, riferito all’Inferno); il rosso al Purgatorio (De Scriptura Rubra) ed il terzo, dorato, al Paradiso (De Scriptura Aurea). Ma l’onusto Bonvesin non scrisse solo questa piccola seppur grande perla letteraria, ma pubblicò anche l’assai noto libro “De Quinginta curialitatibus ad mensam” (Cinquanta cortesie da desco), libro di fama europea che espone in versi alessandrini, sulla base della tradizione latina, le dovute norme comportamentali da esercitarsi durante un qualsivoglia convivio, ponendo le basi per il libro “Trattato sul Galateo” del Mons. Della Casa, edito in epoca rinascimentale, e all’opera “Il Cortegiano” di Baldassarre Castiglione che fu letta da nonnulli intellettuali delle corti europee. Di tutt’altro sapore e carattere sono le briose opere di Giacomino Da Verona, allievo del grande maestro e filosofo aristotelico della scolastica anglosassone Gabrijhellus, che scrisse il “De Jerusalem Celesti” e il “De Babilonia Civitate Infernali”. Spesso prolisso, monotono e didascalico, egli ci offre però notevoli ed argute capacità descrittive ed una vivace vena comica e faceziosa, attiva soprattutto nel De Babilonia. I due libri si vogliono rifare alla concezione dell’”Urbs” agostiniana, arrivando a trattare, con una finzione allegorica il Paradiso e l’Inferno. Di notevole fattura e raffinatezza espositiva sono il passo della Jerusalem in cui si narra della pia figura di Biasonius, nobile e casto cittadino della “Civitate Dei” dedito in tutto e per tutto alla religione e recusante l’”otium” ciceroniano come via di perdizione dall’ “Iter” che porta ogni “Homo” al “Divinus”, ed il passo del De Babilonia dove è descritta invece l’arcana-mitica-lussuriosa mala creatura Baba Gyalla. In questi due poemetti si può discernere un retaggio del mos maiorum latino, soprattutto nelle virtù della clementia, dell’auctoritas, della gingillatio e della pietas. sua concezione dell’aldilà, molto lontana dalle astrazioni mistiche e invece così rozza e concreta, sia la tipologia dei modelli, tutti molto diffusi (Apocalisse di S. Giovanni, letteratura francescana coeva, repertori dei predicatori, produzione contemporanea di ambito affine) indicano la scelta consapevole di uno stile “humile”, funzionale, del resto, al dichiarato fine divulgativo. Giacomino riscosse un’enorme fama, che, in tempi moderni, ha fatto si che le sue opere fossero tradotte in varie favelle e lette in ogni dove del mondo (America, Cuba, Marocco, Tunisia, India…). La sensazione avuta durante la lettura di queste “dolzure” è quella che si prova quando, in un giorno di arsura estiva, veniam dissetati da un’acqua zampillante cristallina, chiara fresca et dolce che nasce da una novella “fons”.

Giacomo Mastrosimone