Due anni fa, una mattina di marzo, alla presenza del fratello del poeta e di chi scrive questa nota, furono riesumati dalla fossa comune, dove erano stati sepolti tredici anni prima, i resti mortali di Sergio Corazzini.
I morti senza nome dormono in un angolo assai lontano del nostro cimitero: sul limite estremo, dove Campo Verano non è quasi più cimitero e comincia a confondersi con la tragica eguale distesa della campagna romana. Sembrano sepolti sulla soglia dell’infinito; e io ricordo che pensai e credetti a un viaggio senza possibile meta, per strade irreali, mentre col fratello di Sergio seguivo lo scavatore che sopra una spalla recava i suoi arnesi e sotto il braccio una piccola cassa di zinco… Tristissimo viaggio, consolato appena della frescura di qualche goccia di pioggia che a quando a quando un vento già tiepido di primavera ci gettava sul viso strappandola a un cielo di marzo, gonfio, oscuro, intriso, come una immane vela sfuggita a una tempesta!
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